Dopo la Tao Class con Ben Stiller segue quella con Melanie Griffith. Le chiacchiere pre-intervista sono qualcosa di difficilmente immaginabile. Che siano spettatori qualunque o esimi cultori di cinema, tutti hanno una (buona?) parola da spendere per l’ospite. Credo sia intimamente legato al sesso: “queste cose agli uomini non succedono!” lamentava Eva Longoria, nella Tao Class del 17 giugno.
Melanie Griffith è il tipico nome quotato dai giornali scandalistici per essere l’ex moglie di Antonio Banderas, divorziata a giugno 2014, dopo un matrimonio ventennale. Considerando che giugno non è ancora passato non c’è da stupirsi né tanto meno da accigliarsi quando, salita sul palco, ci ritroviamo difronte una donna fragile, un po’ svampita. Melanie Griffith si presenta in completo nero giacca e pantaloni, sobria ed elegante, capelli legati in un morbido chignon, giusto un filo di trucco. E’ molto magra, l’aspetto d’un sinuoso e delicato fenicottero, pelle chiara e guanciotte, date dagli zigomi sporgenti, e grandi occhi sfumati d’azzurro. L’espressione è trasognata, con un fondo amaro, vibrante; stride un po’ con l’aspetto teso a comunicare serenità: una smorfia la trasforma per brevi attimi nell’immagine del pagliaccio triste. “Nessuna domanda sul divorzio, per favore”, si premurano di informarci. Spero proprio la gente gli dia retta.
Anche nel caso di Melanie la scelta di fare l’attrice non è stata casuale: la madre era Tippi Hedren, mitica protagonista dei film di Hitchcock. Del regista ci confessa un’impressione di bambina: “Ricordo quando mi regalò un giocattolino a forma di bara con dentro la bambola di mia madre. Inquietante, un genio ma.. strano”. Del mondo del cinema ricorda fra l’altro l’incontro con Sophia Loren, capace di formare la sua visione personale della donna.
Erede del ruolo di regina della commedia romantica mutuato da Marylin (Monroe), anche lei iniziò come modella. Maestra d’adulterio in numerosi film degli anni 80 e 90: piagnucola furbetta, giocherella bambina, bambolina alla Lolita, per uomini che vogliono sentirsi ragazzini e sono stanchi di sedurre. Il mix di brio e fragilità che incarna le fa conquistare un vasto pubblico. Il sorriso maliardo e malizioso persuade chi ancora oppone resistenza.
“Hai un bellissimo..” “Corpo” “Sorriso” “Sorriso?” ride, in una scena d’un film che ci proiettano, che la vede giovane e col caschetto sbarazzino a mordicchiarsi le labbra.
“Registi diversi l’hanno ritratta in modo diverso, ma tutti venivano da lei: cosa pensa li attirasse?”
“E’ una domanda lunga… Sintetizzi”. Melanie ha momenti di confusione. “Where is my mind?” esclama esasperata a un certo punto “Oggi non mi ricordo niente, scusate”. A un paio di domande non risponde. Non vede il traduttore quindi pensa che non c’è. Anche quando glielo indicano si preoccupa che traduca alla lettera e in simultanea quello che dice. Addirittura alla serata di gala al Teatro Greco, mentre stanno consegnandole il premio, fa: “Vi stanno traducendo?”. Si Melanie, male ma si.
“Quando ero ragazza io le attrici studiavano, e si dedicavano alla comprensione della trama anziché a se stesse”. Una punta d’asprezza caratterizza la sua battuta. Sicuramente ha in testa qualcuno, ma non lo dice. Guarda in aria tornando indietro coi ricordi, come quando le chiedono dell’eredità artistica lasciatale dalla madre: “Beh, è difficile essere figli d’arte. Devi sempre dare prova di te stesso, di meritare quello che hai e quindi in qualche modo devi giustificarti”.
Una domanda un po’ pungente: “Quando recitava dando all’uso del corpo un taglio così esuberante e trasgressivo non pensava alle conseguenze sociali?”, riferendosi alla decadenza nell’uso del corpo femminile, mercificato dalla società anni 80. “Oh beh.. Io cercavo solo di essere me stessa. E’ l’unico modo per non risultare falsa”. “Quando comincia a entrare nel personaggio?” “Subito. Non appena ho il copione. Anzi, non appena mi scritturano”. Si ma senza copione come fa? Poi all’improvviso mormora, lanciando uno sguardo silenzioso alla platea: “Vi state annoiando?”. Sorride, imbarazzata. No, Melanie, no. Stai tranquilla. Spero che le arrivi il mio sguardo rassicurante. Melanie intenerisce, anche un pubblico sempre pronto alla critica come il nostro.
Le fanno una domanda su “Una donna in carriera”, in cui ha lavorato con Harrison Ford.
“Oh Harrison..!” esclama, come fosse lui il soggetto dell’intera questione “So sexy, so handsome, so married!”. Non ha propriamente risposto ma ha finalmente avuto una battuta simpatica e frizzante, che alleggerisce l’atmosfera permettendo all’intervista di proseguire su una linea vagamente briosa. Una domanda sul mercato cinematografico americano: “Io non vedo arte a Hollywood, solo business, è così triste”. Poi ci informa sull’ambiente: “Maschilista, in una parola”. Guarda un punto indistinto della sala e la pupilla vibra con accenno malinconico. “Penso che le donne siano comunque più sveglie degli uomini, sempre, lo penso davvero”. Si commuove. Scatta l’applauso. Deve possedere un enorme autocontrollo perché in men che non si dica l’occhio ritorna serio ed asciutto, quasi apatico. All’ultima domanda risponde solo: “Thank you”. Si congeda con un saluto a mani giunte dall’aria orientaleggiante. Emotivamente fragile, provata ma sincera, disarmante, Melanie Griffith ci lascia un ricordo triste, una voglia di carezze e baci mancati.
“Dove finisce la donna e inizia l’attrice?” “Non lo so, è un confine sottile.. è come un posto in cui vai, un posto magico. Se ti lasci andare non sai cosa potrà succedere ma lasci che accada”. La gente sciama lentamente fuori nel brusio assordante di sempre. Rimango seduta qualche minuto, a riflettere su questa donna adulta e la sua traumatica uscita dal mondo delle favole. Seconda stella a destra… e Wendy è diventata grande.